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illustrazione di Maria Marta Bertolio

Visibilità delle competenze genitoriali

Comune di Abbiategrasso (MI), 2003/2004

Direzione scientifica dott.ssa CARMEN GRECO, psicopedagogista, psicologa, psicoterapeuta  iscritta all’Albo, specializzata in psicodidattica dell’espressione

Supervisione agli operatori

Anche quest’anno una parte del progetto è stata caratterizzata dall’attività di supervisione, un ambito strutturato dove l’operatore può confrontarsi con i colleghi, attraverso una riflessione guidata da un conduttore esperto, per raggiungere un’adeguata distanza dal fare.

Si può così analizzare con lucidità affettiva sia la dimensione emotiva che metodologica dell’azione, per rivalutare l’intervento in una dimensione critica e di ricerca.

Lo spazio della supervisione ha avuto inizialmente cadenza quindicinale, della durata di due ore.

Si è proceduto con la stessa modalità consolidata, ovvero con la  scrittura dei vissuti emotivi. Ogni operatore ha letto i propri vissuti e gli altri partecipanti hanno ascoltato trascrivendoli in modo da avere un quadro completo della situazione emotiva. Il conduttore successivamente ha rielaborato quanto emerso, attribuendo i vissuti ai ragazzi sui quali l’operatore lavora. Ciò ha contribuito a distinguere quanto proviene dal contesto relazionale nel quale si opera da ciò che è attribuibile all’identità professionale dell’operatore.

È come se, durante la supervisione, l’operatore si prestasse ad essere cassa di risonanza del vissuti emotivi dei ragazzi, in particolare di quei vissuti che i ragazzi censurano e di cui non sono consapevoli.

Il lavoro del conduttore è stato quello di aiutare l’operatore a separarsi dai vissuti scomodi e recuperare il proprio benessere. Per l’operatore è stato possibile poi integrare ulteriormente tale processo con un lavoro personale ( analisi con il proprio genitore). Ciò ha garantito il recupero della propria identità personale in modo più veloce. È consigliabile soprattutto quando, in situazione di forte disagio, essa rischia di essere compromessa.

Poiché i bambini, gli adolescenti, si trovano in condizioni di continua trasformazione fisica, intellettuale, emotiva, diventa necessario tutelare e confermare l’identità sia professionale che personale di coloro che li circondano e sono direttamente coinvolti nel processo educativo che ha una valenza non solo didattica, ma anche emotiva.

Quanto più gli educatori si sentono solidi nella loro identità tanto più possono sentire e vedere quanto di scomodo e di doloroso i ragazzi vivono e tendono a coprire. 

In tal modo gli educatori sono stati in grado di intervenire in maniera consapevole e migliorativa a sostegno delle situazioni nelle quali la personalità ha dei confini fragili ed/o è stata compromessa da interferenze esterne.

FORMAZIONE PRATICO-ESPERIENZIALE AGLI OPERATORI

Agli operatori è stato proposto un percorso di formazione pratico-esperienziale in cui sono stati affrontati temi legati alla relazione educativa e al recupero delle proprie risorse, utilizzando la forma artistica, che caratterizza il nostro approccio formativo.

Sin dal primo incontro si sono tenuti in considerazione due piani: quello PERSONALE e quello PROFESSIONALE.

In una prima parte del laboratorio si è lavorato su un livello PERSONALE ovvero sul recupero della risorsa primaria, quella del GENITORE OMOLOGO, di ogni operatore, nella seconda parte si è lavorato sul gruppo come risorsa necessaria nel lavoro con i ragazzi.

Abbiamo ritenuto importante far sperimentare in prima persona agli operatori, il recupero, anche attraverso i ricordi dell’infanzia, dell’essere FIGLIO ancor prima di essere operatore educativo, poiché è proprio la relazione primaria che sta alla base della conferma dell’identità dell’individuo.

L’operatore in qualche modo funge da “ponte” di collegamento tra figlio e genitore, aiuta a superare il blocco e ad incentivare il dialogo emotivo e aiuta il figlio e far riferimento al genitore soprattutto  nei momenti di svalutazione e di difficoltà. Se l’operatore sperimenta per primo questo principio, oltre che rinforzare la sua consapevolezza riesce anche a gestire la relazione d’aiuto con chiarezza.

Durante l’esperienza si è avuto modo di capire la DIFFICOLTA’ dei ragazzini di parlare del genitore in un ambito non famigliare come ad esempio la scuola o tra gli amici, questo è stato evidenziato da vissuti come imbarazzo, vergogna, rabbia, incredulità e BANALIZZAZIONE che spesso i ragazzini hanno rispetto all’emotivo.

È proprio questa banalizzazione che porta poi alla svalutazione del genitore.

Tra gli obiettivi primari del lavoro fatto nei laboratori vi era l’affinare l’ASCOLTO EMOTIVO, e proprio grazie al SENTIRE di ognuno si ha avuto modo di affrontare vissuti che arrivavano dai ragazzi che frequentavano il centro.

Altro elemento affrontato è stato il GRUPPO e l’importanza della COMUNICAZIONE tra i colleghi.

Spesso la mancanza di comunicazione fa sì che sorgano incomprensioni reciproche, porta alla chiusura e quindi anche alla mancanza di collaborazione, e molto spesso questo viene letto come una difficoltà personale e non come un agito.

È stato perciò interessante sperimentare la difficoltà nel dire al collega “secondo me stai agendo qualche ragazzino” senza viverlo come un giudizio personale. Elemento fondamentale è sicuramente il fatto di “parlare la stessa lingua” ovvero utilizzare un linguaggio emotivo che tenga in considerazione i vissuti di chi si ha di fronte.

Attraverso l’utilizzo di strumenti artistici e creativi è stato possibile far emergere e approfondire alcune tematiche necessarie per la tutela dell’operatore:

  • recuperare le risorse personali facendo riferimento al rapporto con il proprio genitore omologo;
  • riconoscere i vissuti che arrivano dall’esterno per poi distanziarsene;
  • riconoscere il genitore omologo come risorsa primaria;
  • conoscere nuovi strumenti espressivi ( laboratorio di marionette) ed acquisire un maggior grado di consapevolezza del percorso attivato.

Gli elementi che ritornano in ogni laboratorio sono stati :

  • la raccolta dei vissuti, (all’inizio, durante il lavoro e a conclusione) questa modalità consente di dare visibilità all’andamento del clima emotivo che si crea di volta in volta;
  • la proposta creativa, che permette di far emergere il proprio mondo emotivo, attivando le risorse;
  • la rielaborazione del lavoro, che, utilizzando una chiave comune di lettura, permette di costruire uno stesso linguaggio.

Anche quest’anno si è considerato l’aspetto della TUTELA individuale ed il riconoscimento delle risorse attraverso la fiaba, la definizione del ruolo dell’operatore e l’importanza di mantenersi nei confini di tale ruolo, distinguendo ciò che appartiene alla propria identità da ciò che è raccolto nella relazione educativa con i ragazzi.

Nel gruppo degli operatori sono presenti degli studenti. Ciò ha stimolato il bisogno di affrontare il tema del ruolo per fornire elementi di tutela che aiutino a distinguere i vissuti propri di studente da  quelli di educatore impegnato con i ragazzi.

L’operatore quando fa riferimento alla propria risorsa personale può leggere questi vissuti e trasformarli partendo dal presupposto che non ci si può tenere tutto dentro, è quindi necessario riconoscere ciò che fa star male da ciò che fa star bene.

Il ragazzino tiene tutto dentro, non riesce a far distinzione, l’operatore può decidere quello che è meglio tenere perché lo fa star bene.

Permane la difficoltà e l’INCREDULITA’ degli operatori ad attribuire i propri vissuti ai ragazzi coinvolti nella relazione educativa. L’operatore, infatti, rischia di attribuire ai responsabili del progetto o al collega oppure a se stesso, la causa di quanto sta vivendo male a livello personale. E’ invece necessario, per il buon andamento del progetto, che sia ricondotta al malessere che il ragazzo vive e che l’operatore raccoglie.

La proposta fatta, è stata quella di mettere in gioco le proprie risorse per creare una fiaba  e dei burattini , in modo da rendere visibili degli elementi da utilizzare nel lavoro con i ragazzi.

Ciò, per un duplice scopo: definire il proprio ambito d’intervento e l’altro, di indirizzare sia il ragazzo sia l’operatore alla propria risorsa.

Durante i vari incontri gli operatori hanno avuto modo di rendersi conto della capacità affinata nell’ascolto emotivo.

 SPAZIO GENITORI

Quest’anno si è privilegiato lo spazio di gruppo, poiché i genitori hanno segnalato il bisogno di un confronto e collegamento fra di loro.

Tuttavia alcuni genitori hanno riportato sia le esigenze personali legate ai figli e la richiesta, sia di solidarietà, sia di superare l’esagerazione per poter affrontare e leggere più serenamente i problemi (che spesso i figli inducono a censurare attraverso la banalizzazione).

Quest’ambito è stato il luogo dove i genitori, a partire dalle loro osservazioni, hanno stimolato il confronto cercando delle strategie di intervento. 

IL GENITORE OMOLOGO

Inizialmente si respirava una forte incredulità rispetto alla relazione del figlio con il genitore omologo (dello stesso sesso) e come questa relazione potesse essere tanto importante per la costruzione dell’identità, intesa non solamente a livello personale (chi sono) ma come patrimonio affettivo e culturale rinnovabile (da dove vengo e dove posso andare).

Nella discussione hanno avuto maggiore rilevanza gli argomenti legati alla scuola, anche perché i ragazzi fanno meno fatica a parlare di ciò che è legato “all’economico” (scuola, lavoro, ogni ambito formale), piuttosto che del “simbiotico” (tutto ciò che ha a che fare con la relazione affettiva).

I genitori si sono sentiti a volte inadeguati ad interloquire con le istituzioni (scuola, oratorio, organizzazioni sportive) e in tal modo c’è stato il rischio di una comunicazione non chiara.

L’incredulità dei figli e la banalizzazione che gli stessi hanno rispetto all’emotivo,  segnalano interferenze nel rapporto figlio-genitore, interferenze che spesso si configurano come atteggiamenti indotti dal gruppo dei pari (si pensi ai ragazzi con disagi personali amplificati nel gruppo – bullismo). Anche la relazione con gli insegnanti, i quali, loro malgrado, si prestano a fare da riferimenti emotivi (vice genitori). La svalutazione dell’emotivo favorisce lo svilimento della genitorialità e a scuola può assumere varie forme di sostituzione: l’insegnante, perché è il garante dell’apprendimento; l’educatore del doposcuola, perché sembra avere più credenziali del genitore (competizione) nel recupero delle lacune scolastiche con il conseguente senso di colpa.

Il genitore, se considerato allo stesso livello dell’educatore o dell’operatore, perde il suo specifico e si presta facilmente ad essere sminuito.

IL GENITORE ALTRO (del sesso opposto al figlio)

Inizialmente il genitore altro è stato più presente nello spazio-genitori.

A questo fatto può essere data una doppia lettura. A volte è necessario una mediazione perché l’accesso intimo alla risorsa genitoriali dello stesso sesso (omologo) spaventa il figlio. Sarebbe come se il figlio inconsapevolmente si muovesse con questo pensiero: “Chiedere all’omologo è troppo, mi avvalgo dell’aiuto del genitore-altro per arrivare a lui”.

Quando il genitore-altrosi presta, involontariamente, a fare da interferente nella relazione del figlio con l’omologo, si avverte molta rabbia. La stessa rabbia che il figlio vive e che a volte il genitore agisce facendo da cassa di risonanza.

La rabbia, l’ansia, lo spavento ad affrontare le difficoltà (esami, scelta della scuola) sono vissuti come troppo inquietanti, pertanto, si tende a normalizzare gli atteggiamenti e a  far apparire tutto superficiale.

La presenza dei fratelli può diventare il pretesto per rinunciare a sperimentarsi nel rapporto d’amore con il genitore omologo poiché scattano delle dinamiche competitive che anziché includere, escludono.

Il collegamento figlio genitore omologo resta comunque una bussola orientativa che permette di  percorrere tutte le altre strade.

Quando ci si autorizza a sentire l’amore del genitore omologo, si può trovare quel punto di forza che permette ogni volta di trovare soluzioni.

Un elemento di novità, che si è reso visibile quest’anno, è stata l’esigenza dei figli di accedere allo spazio genitori .Ciò può essere letto come un segnale dei figli che iniziano a “ vedere”, oltre l’incredulità, che il genitore è la loro risorsa. Risorsa di cui, magari, ancora non si sa bene come appropriarsene, ma di cui “ si sente” che occorre superare la divisione a favore dell’integrazione. Può essere quindi un’indicazione perché lo spazio genitori diventi luogo di incontro figli/genitori.

I genitori, da parte loro, pur mantenendo tanti dubbi hanno colto con autorevolezza la loro specificità e la loro insostituibilità nella crescita dei figli.