LABORATORIO CREATIVO PER IL BENESSERE DEL FIGLIO A SCUOLA
Laboratorio in tre serate tenuto da :
psicopedagogista, psicologa, psicoterapeuta iscritta all’Albo, specializzata in psicodidattica dell’espressione.
insegnante coordinatrice con formazione psicoanalitica, iscritta all’Albo degli psicologi .
psicopedagogista, psicologa iscritta all’Albo, danzaterapeuta, specializzata in arte terapia .
Sala civica Montevecchia ( LC ) ottobre 2001
Precedentemente alle tre serate abbiamo chiesto delle opinioni a tutte le persone invitate a partecipare, ciò allo scopo di conoscere e renderci conto di quali possano essere le reazioni di fronte ad una proposta che chiede di mettere in gioco apertamente se stessi. Fra le diverse risposte ci soffermiamo su una in particolare :
“Ascoltare una relazione dall’esperto va bene, fare qualche cosa di più personale non me la sento, sento che per me è troppo” .
Utilizziamo questo rimando per sottolineare e mettere in evidenza i vissuti che spesso sentiamo dentro di noi quando ci mettiamo in ascolto della nostra sensibilità, possiamo citare : la vergogna, il timore, il giudizio. Vissuti sentiti tanto più forte quanto più manca un allenamento a riconoscerli e a gestirli o quando si è da sempre pensato al proprio mondo emotivo come ad un aspetto da tenere sotto controllo e non invece quale grande risorsa che ci è stata donata con la vita. La sensibilità ci permette di accedere all’esperienza e di viverla con il sentimento, con la capacità di amare .
Accedere al proprio mondo emotivo può diventare l’occasione per sperimentarsi nel sentirsi non giudicati ed accettati per come si è .
È un po’ come percorrere il disagio del bambino che si sente giudicato, e il ritrovare lo stare bene del bambino che si sente amato.
Per noi proporre una relazione a tema sarebbe stato come dare riconoscimento ad un sapere che è esterno all’esperienza personale, come dire che c’è un altro che ne sa di più, ma la relazione d’amore tra figlio e genitore è paragonabile ad un’ espressione artistica, unica, esclusiva di quel figlio e genitore, sia esso genitore omologo oppure genitore altro.
Lo stile con cui vogliamo incontrare i genitori vuole essere quindi di ricerca con loro.
Per noi è un attingere dalle nostre esperienze personali per comunicare delle conoscenze, maturate attraverso un percorso fatto sul campo della relazione educativa; è voler far conoscere un sapere a partire dalla sollecitazione che ci viene fatta dall’esperienza delle persone che incontriamo.
Per tutti, è partire dalla propria esperienza di figlio, come primaria ricchezza a cui attingere e che è a disposizione per essere utilizzata nell’essere genitore.
Attraverso il laboratorio creativo può avvenire un dialogo fra saperi e a più livelli differenti fra loro: il logico-razionale, l’analogico, l’affettivo, sempre a partire dalle personali esperienze che ognuno mette in gioco.
L’esperienza sollecita interrogativi e diventa dialogo, sia essa di genitore con altri genitori o con altri, investiti per l’occasione dal ruolo di esperti.
Il dato che ci sembra importate far conoscere è l’avere fiducia nella propria capacità di amare, perchè è la stessa che ci permette di sentire emotivamente. Capacità che ogni persona ha costruito e sperimenta continuamente nella relazione d’amore con il proprio genitore omologo, sia che esso esista o che non esista accanto, ma che resta comunque il riferimento primario per la costruzione ed il recupero continuo della propria identità.
Prima serata
COMPRENDERE LA PROPRIA ESPERIENZA DI FIGLIO PER COMPRENDERE I FIGLI.
Laboratorio : Ogni partecipante ripensa ad un episodio dell’infanzia con il genitore omologo, lo rappresenta con gesti grafici, lo socializza al gruppo.
Dalla serata abbiamo raccolto queste sollecitazioni e di seguito le riflessioni.
Cosa significa stare bene?
È quando si sta bene nei propri panni, senza dover essere così o in altro modo. Si sta bene per come si è.
È il bambino che è amato dal genitore non per delle caratteristiche particolari e tanto meno selezionate, ma per il legame d’amore che unisce i due.
Utilizziamo i ricordi d’infanzia con il genitore omologo come chiave di lettura emotiva per comprendere oggi il proprio figlio.
I ricordi dell’infanzia che emergono negli adulti, spesso sono piccoli episodi, banali, ma che sono rimasti impressi fortemente nella memoria.
La nostra memoria fissa non tanto l’informazione per se stessa , ma per quanto la persona “vive” quella informazione.
Come il ricordo del padre che nomina le stelle al figlio, ed il figlio, ormai adulto, ha chiaro che l’importanza di quell’episodio non sta nella lezione di astrologia, ma è la registrazione di tutto quel patrimonio emotivo che si è fissato nella sua memoria costituito dalla voce del padre, dalla sua vicinanza fisica, dall’essere vicini di fronte alla cupola del cielo.
Non si ricorda il fatto per il peso che ha in sé, ma per il vissuto emotivo che lo ha accompagnato.
Se una bambina rompe la collana della mamma, è un fatto spiacevole, ma nella memoria resterà impresso per il vissuto drammatico d’angoscia che lo ha accompagnato: la paura di aver perso l’amore della mamma.
E’ secondario il fatto in sé della mamma che sgrida o come sgrida, primario è il vissuto con cui la bambina, per sua sensibilità, per un suo modo di leggere il legame d’amore con la madre, carica di significato quell’episodio.
La verifica che si può fare dei ricordi che abbiamo, avviene mettendo a confronto il vissuto di entrambi gli attori di quell’episodio, ciò che uno vive è il suo aspetto di verità, ma non la verità.
E’ interessante da adulti confrontare certi ricordi con i ricordi che ha il proprio genitore omologo, episodi che riguardano entrambi. Lo scopo di questo confronto non è di negoziare una verità e nemmeno il giudizio, ma è di leggere i vissuti rimasti registrati nella memoria dell’allora bambino e i dati di realtà che conosce il genitore .
E’ pure interessante confrontare il ricordo, che è stato ripescato fra i tanti nella memoria del genitore, con quanto il figlio vive nel presente.
Quell’episodio che sembra appartenere alla vita passata del genitore, tanto bene sa raccontare la vicenda attuale del figlio : ne è esempio la coincidenza dell’età del genitore al tempo del ricordo e quella attuale del figlio coinvolto, così come la situazione nominata che è stata vissuta da entrambi:
è la capacità dei genitori di sentire i figli oltre le parole, di sentire intuitivamente quanto essi vivono.
Questa preziosa comunicazione può restare inutilizzata. Da parte del figlio, a causa dell’inesperienza nel riconoscere quanto vive emotivamente; da parte dei genitori, perché è troppo poco valorizzata e legittimata dal contesto culturale e sociale, ma ancor più, perché si ha troppo poca fiducia nella propria sensibilità e capacità d’ascolto emotivo.
Dare ascolto ai bambini è necessario e giusto ma occorre sempre considerare che l’interpretazione che loro fanno delle situazioni spesso è frutto della scarsa esperienza che hanno della vita, e in modo particolare della scarsa esperienza a gestire il sentire emotivo, a distinguere il livello della logica da quello dell’amore, la diversità fra valenza reale e quella fantastica, fra realtà e desiderio o timore, il sentire con il corpo, con la testa e con il cuore.
Amplificare la capacità di verità nei bambini spesso risulta fuorviante.
Il genitore invece è in grado di porre la diversità fra i vari piani, così come è predisposto ad accogliere il vissuto del figlio per la valenza emotiva che ha. Raccoglie la sua richiesta d’aiuto, magari traducendola in ostinata quanto criticata ”soffocante preoccupazione”, ma perché è poco allenato ad utilizzare il proprio sentire. Resta il fatto che è in grado di dare al figlio risposte dirette, in forma creativa e specifica al mondo emotivo di quel figlio.
Spesso nella relazione emotiva c’è la necessità di trovare il confine tra sé e l’altro, perché nel sentire emotivo tutto sembra un tutt’uno, un appartenere tutto a sé.
Stati d’animo che sono del figlio, se questo non li manifesta, anche per il solo fatto che non li riconosce o li teme, il genitore li sente e li considera propri. Un po’ come il figlio che spesso per parlare di sé, soprattutto per comunicare sentimenti scomodi, parla del genitore.
Tante volte sentiamo i figli colpevolizzare il genitore, eppure se ricostruissimo il contesto, vedremmo in quella colpa il timore di un proprio limite.
Spesso nell’atteggiamento dei bambini c’è ambivalenza, come il decidere di non far affaticare la mamma perché ha già troppo cose da fare.
Se da un lato esprime la sensibilità che ci porta a renderci conto dell’altro, ad accoglierlo, aiutarlo, sostenerlo(è l’amore che ci pone in tale posizione rispetto all’altro), può avere anche il significato di fare a meno del genitore omologo, in tal caso può essere segnale di interferenza.
In questo ricordo del genitore, può esserci la richiesta attuale del figlio e che il genitore raccoglie e fa propria, attribuendola a sé.
Il genitore sente la fatica del figlio a legittimarsi il proprio bisogno di avere il genitore omologo tutto per sé.
Quando c’è o c’è stata interferenza nella relazione affettiva con il genitore omologo si utilizza maggiormente il ragionamento, che compensa fino, in taluni casi gravi, sostituire le emozioni ed il sentimento, accompagnato da grande senso di colpa verso se stesso ma manifestato sul genitore.
Quali possono essere le cause dell’insorgere dell’interferenza?
Il motivo è una sofferenza insopportabile (il limite di sopportabilità è estremamente personale, quindi variabile), le occasioni sono le più svariate: dal parto, si può elencare la permanenza nei nidi delle ostetricie, malattie, i ricoveri ospedalieri, l’affidamento a persone diverse dal genitore, l’immissione in strutture organizzate (nidi, scuole… ), presupposti culturali che allontanano il figlio dal genitore anziché favorirne la vicinanza.
L’antidoto è il mantenimento e recupero della relazione, cioè, la legittimazione a vivere la propria relazione con il genitore omologo.
Il senso di riconoscenza, il sentirsi bene per la ricchezza ricevuta e che può essere messa in campo perché tutti abbiano a poterne attingere, è data dalla consapevolezza dell’essere amati .
Lo stare bene, che ci è dato dall’amare (a partire dall’essere uomo o donna), ha la propria fonte nel sentire di aver attinto alla risorsa primaria , all’amore con il proprio genitore omologo.
In questo senso il sentimento è l’antidoto al consumismo. È prevenzione al disagio psicologico e sociale.